Avv. Luca Degani
Avv. Raffaele Mozzanica
Studio Legale Degani
Avv. Massimiliano Gioncada
Studio Legale CGMB
L’art. 48 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, rubricato Strutture per le persone con disabilità e misure compensative di sostegno anche domiciliare, è una delle disposizioni normative che più fa discutere gli interpreti, individuabili tra coloro che (sorprendentemente) vi trovano spunto per prospettarsi inattesi risparmi di spesa, coloro che (pavidamente) temono il concretarsi di chissà quali danni erariali (figura mitologica, spesso evocata senza aver la minima idea di cosa si tratti) e coloro che (ragionevolmente) hanno colto la ratio complessiva della normativa e danno corso a un’applicazione tanto rigorosa quanto logica del testo normativo.
Quale la ratio della normativa emergenziale nel suo complesso?
Certamente quella di stabilire delle limitazioni ritenute necessarie, effettuata una valutazione, quale priorità nazionale, dell’interesse generale alla rigorosa prevenzione anti-Covid19, che anche la più autorevole giurisprudenza ha (giustamente) validato, ritenendo non “irragionevolmente compressi, per il periodo della emergenza, diritti, pur rilevanti e fondamentali, dei privati istanti in relazione ad esigenze <…> che ovviamente possono essere regolate quanto ai tempi e criteri, nell’interesse collettivo sicuramente prevalente su quello individuale” (V., sul punto, vari Decreti dell’Ill.mo Presidente della Terza Sezione del Consiglio di Stato, dott. Franco Frattini).
Ma, altrettanto indiscutibilmente, quella di non far soffocare il tessuto socio-economico, provato oltre ogni immaginazione dalla situazione che si è venuta a creare.
La cosa desolante, a mio avviso, è che non pochi enti locali abbiano rinvenuto nella suindicata disposizione l’occasione di fare della “ragioneria sociale”: il taglio delle spese dell’area servizi alla persona.
Nella mia esperienza forense ciò si manifesta spesso con il tentativo di negare l’integrazione di una retta da parte dell’ente locale ovvero quello di ascrivere parte dei costi a soggetti estranei al nucleo familiare rilevante ai fini I.S.E.E. ovvero ancora di dotarsi di regole fantasiose e del tutto avulse dalla normativa vigente per definire i rapporti di spesa con l’utenza.
In questo caso, viceversa, l’occasione pare essere stata offerta dall’art. 48 qui in esame.
Pare.
A ben vedere una previsione che autorizzi l’ente locale a non corrispondere una remunerazione all’ente gestore, anche in questo periodo, non si rileva, a meno di voler leggere nel suindicato testo qualcosa che non è scritto.
Partiamo da alcuni dati evidenti:
- l’art. 48, in tutte e tre le versioni, trattando delle prestazioni qui disciplinate, usa la locuzione “le pubbliche amministrazioni forniscono <…> prestazioni in forme individuali domiciliari o a distanza o rese nel rispetto delle direttive sanitarie negli stessi luoghi ove si svolgono normalmente i servizi senza ricreare aggregazione.” Non vi è nessuna facoltà concessa alle amministrazioni, perché se il Legislatore avesse voluto rendere opzionale questa scelta avrebbe usato locuzioni del tipo “possono fornire” o simili, non “forniscono”;
- ovviamente, ma è questione di logica ancor prima che “di diritto”, il Legislatore ha voluto chiarire che tutto ciò deve avvenire “adottando specifici protocolli che definiscano tutte le misure necessarie per assicurare la massima tutela della salute di operatori ed utenti”;
- la “fornitura” di dette prestazioni, opportunamente, nella versione attualmente vigente dell’articolo in commento (post d.l. n. 34/2020) avviene “anche su proposta degli enti gestori di specifici progetti”. Il termine “anche”, a ben vedere, significa che l’obbligo di predisporre progetti alternativi alle prestazioni ordinariamente erogate nelle unità di offerta grava in primis sui Comuni (rectius: Servizi Sociali) e poi sugli enti gestori. Nella realtà, per quanto consta al sottoscritto, rarissimi son stati i Servizi Sociali che, motu proprio, hanno anticipato gli enti gestori proponendo essi stessi una progettualità alternativa all’ordinarietà. Ritenere quindi che a fronte di un obbligo di erogazione di prestazioni (“forniscono”), ancorché condizionato, ma per motivi esclusivamente sanitari, si
possa trovare un cavillo nel codice civile o in quello dei contratti per giustificare un mancato pagamento, è quantomeno curioso, ma tant’è. In particolare, per come è strutturato e articolato il sistema delle reti di Unità di Offerta in Lombardia, la maggioranza delle quali ha natura privatistica, alla fattispecie in esame si devono ricondurre l’insieme dei servizi che si declina nelle relative erogazioni di prestazioni che la pubblica amministrazione garantisce mediante (molteplici e diversi) rapporti con il privato sociale, in un contesto di sussidiarietà tipico dei servizi alla persona ed educativi. - viceversa, la discrezionalità tecnica dell’amministrazione torna a espandersi quando il Legislatore prevede che “Tali servizi si possono svolgere secondo priorità individuate dall’amministrazione competente”. Anche questo inciso però, a ben vedere, non ha il potere di rendere facoltative le prestazioni che, per quanto già visto, sono da erogarsi: semplicemente, l’amministrazione può graduare le prestazioni in relazione ai bisogni della persona e della (ovvia) relativa fattibilità;
- in che modo individuare le prestazioni e graduarle? Il Legislatore cita l’istituto della “coprogettazione”, sul quale è necessario soffermarsi brevemente. La coprogettazione costituisce un momento di confronto/raccordo/partnership concettuale tra l’amministrazione e il soggetto con la quale prende vita un’idea di prestazione, anche complessa, che poi sarà oggetto di attività di aggiudicazione e realizzazione. Il pubblico e il privato si fondono, entro certi limiti e nel rispetto dei propri ruoli, per concepire insieme qualcosa. Ecco allora che il Legislatore dell’emergenza, richiamando il concetto di coprogettazione, ha certamente inteso di dare un’idea del modus operandi con il quali i due emisferi devono procedere. Ogni imposizione unilaterale (dal pubblico verso il privato e viceversa) appare irriducibile con il dato normativo e con la logica. Così facendo, infatti, l’ente locale, al fine di precostituirsi la giustificazione per non ottemperare al testo normativo, potrebbe imporre all’ente gestore condizioni impossibili da soddisfare e, dall’altro lato, l’ente gestore, delineando un sontuoso quadro di prestazioni alternativo, potrebbe tentare di ottenere un maggior pagamento, rispetto a quanto ordinariamente previsto, dall’ente locale. Entrambe queste ipotesi, e tutte quelle ad esse affini, paiono rigettate dal Legislatore che, viceversa, esige un accordo tra le parti, fermo restando, invalicabile, l’obbligo di rendere le prestazioni. Per il vero nei tempi recenti questo coordinamento tra gli enti locali e gli enti gestori non è stato impeccabile, e con responsabilità equanimemente suddivise (difetti/ritardi nell’interlocuzione reciproca, malintesi, interpretazioni normative disancorate dalla norma, embrionali avidità, da un lato, ed embrionali tentativi di risparmio, dall’altro, entrambe ingiustificate). Pare viceversa corretto ritenere che, fermo restando l’obbligo generale di erogazione e di predisposizione di prestazioni alternative, siccome erogabili in sicurezza, che grava in primis sulle amministrazioni, il Legislatore abbia indicato la via del dialogo e del confronto per giungere alla definizione di “cosa” fare e di “come” farlo. Attività non semplice, che necessariamente sconta tutte le difficoltà esplose in questo periodo, ma che non pare conduca a negare né gli obblighi imposti né un diritto al pagamento delle prestazioni;
- sulla misura (entità) dei pagamenti da effettuarsi, il testo vigente fino al 19 maggio così recitava “le pubbliche amministrazioni sono autorizzate al pagamento dei gestori privati dei suddetti servizi per il periodo della sospensione, sulla base di quanto iscritto nel bilancio preventivo”. Dal che è agevole inferire che dalla corretta applicazione di quanto previsto non può certo derivarne alcun danno erariale, salve le considerazioni che si proporranno di seguito;
- sul punto, la norma però è cambiata, prevedendosi attualmente che “le pubbliche amministrazioni sono autorizzate al pagamento dei gestori privati dei suddetti servizi per il periodo della sospensione, sulla base delle risorse disponibili e delle prestazioni rese in altra forma”. A bene vedere trattasi di un’opportuna specificazione, ma che non muta alcunché sulle sostanza delle cose: anzitutto è abbastanza evidente che vi sia una sostanziale eguaglianza tra quanto iscritto nel bilancio preventivo e quanto sia disponibile, in secondo luogo il testo non lascia margini di dubbio sul fatto che anche le prestazioni “rese in altra forma” debbano essere remunerate, ovviamente a patto ch’esse siano state, in qualche modo, concordate (validate), non apparendo di per sé preclusivo il fatto che, per questioni oggettive, non imputabili né all’amministrazione né all’ente gestore, esse non sia state “coprogettate” in modo canonico (rectius: come si sarebbe potuto fare in tempi normali);
- alcuni interpreti hanno inteso richiamare alcuni istituti civilistici e altri afferenti al codice dei contratti, per tentare di giustificare ipotesi di mancata erogazione e, soprattutto, di mancato pagamento delle prestazioni. A ben vedere, dette considerazioni non paiono cogliere nel segno. Nel caso del d.lgs. n. 50/2016, infatti, è agevole osservare che lo stesso Legislatore ha testualmente previsto che “Le prestazioni convertite in altra forma, in deroga alle previsioni del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, previo accordo tra le parti secondo le modalità indicate al comma 1 del presente articolo, sono retribuite ai gestori con quota parte dell’importo dovuto per l’erogazione del servizio secondo le modalità attuate precedentemente alla sospensione e subordinatamente alla verifica dell’effettivo svolgimento dei servizi”. Orbene, sarebbe quantomeno curioso che il Legislatore abbia previsto di derogare al codice dei contratti e, al contempo, ritenere che abbia usato il medesimo per giustificare il mancato pagamento delle prestazioni comunque rese. Analogamente dicasi per i classici istituti civilistici che ineriscono i contratti, giacché appare quantomeno arduo poter rivenire in una “inottemperanza contrattuale” la giustificazione del mancato pagamento dell’ente locale quando detta “inottemperanza” è stata imposta dalla Legge (“1. Sull’intero territorio nazionale, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 e tenuto conto della difficoltà di far rispettare le regole di distanziamento sociale, nei Centri semiresidenziali, comunque siano denominati dalle normative regionali, a carattere socio-assistenziale, socio-educativo, polifunzionale, socio-occupazionale, sanitario e socio-sanitario e nei Centri riabilitativi ambulatoriali del Servizio sanitario nazionale per persone con disabilità, l’attività dei medesimi è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data <…>, così l’art. 47 del medesimo d.l. n. 18/2020). Se poi rammentiamo che l’obbligo di erogare prestazioni alternative grava(va) sull’amministrazione, è evidente che questa non può certamente utilizzare una propria eventuale inadempienza per giustificarne un’altra;
- più complessa appare l’interpretazione della previsione che riguarda la “ulteriore quota” citata nell’articolo in commento. L’art. 48, nel testo vigente dal 17 marzo al 29 aprile 2020, stabiliva che “Sarà inoltre corrisposta un’ulteriore quota che, sommata alla precedente, darà luogo, in favore dei soggetti cui è affidato il servizio, ad una corresponsione complessiva di entità pari all’importo già previsto, al netto delle eventuali minori entrate connesse alla diversa modalità di effettuazione del servizio stesso. La corresponsione della seconda quota sarà corrisposta previa verifica dell’effettivo mantenimento, ad esclusiva cura degli affidatari di tali attività, delle strutture attualmente interdette, tramite il personale a ciò preposto, fermo restando che le stesse dovranno risultare immediatamente disponibili e in regola con tutte le disposizioni vigenti, con particolare riferimento a quelle emanate ai fini del contenimento del
contagio da Covid-19, all’atto della ripresa della normale attività”. Il testo in vigore dal 30 aprile al 18 maggio prevedeva che “Sarà inoltre corrisposta un’ulteriore quota che, sommata alla precedente, darà luogo, in favore dei soggetti cui è affidato il servizio, ad una corresponsione complessiva di entità pari all’importo già previsto, al netto delle eventuali minori entrate connesse alla diversa modalità di effettuazione del servizio stesso. La seconda quota sarà corrisposta previa verifica dell’effettivo mantenimento, ad esclusiva cura degli affidatari di tali attività, delle strutture attualmente interdette, tramite il personale a ciò preposto, fermo restando che le stesse dovranno risultare immediatamente disponibili e in regola con tutte le disposizioni vigenti, con particolare riferimento a quelle emanate ai fini del contenimento del contagio da Covid-19, all’atto della ripresa della normale attività”. Il testo attualmente in vigore dispone che “E’ inoltre corrisposta un’ulteriore quota per il mantenimento delle strutture attualmente interdette che è ad esclusiva cura degli affidatari di tali attività, tramite il personale a ciò preposto, fermo restando che le stesse dovranno risultare immediatamente disponibili e in regola con tutte le disposizioni vigenti, con particolare riferimento a quelle emanate ai fini del contenimento del contagio da COVID-19, all’atto della ripresa della normale attività”. La ratio di favore per la sopravvivenza degli enti gestori, che, non dimentichiamolo, suppliscono alla mancanza di strutture pubbliche allo scopo, consentendo agli enti locali di ottemperare alle proprie funzioni istituzionali, è del tutto evidente. Resto fermo il fatto che, compatibilmente con le difficoltà insorte, che non hanno inciso solo sulla produttività del personale degli enti locali, ma hanno prodotto identici effetti anche su quello degli enti gestori, questi siano comunque chiamati a fornire idonea rendicontazione delle attività prestate, in modo da poter legittimare la richiesta di pagamento, da un lato, e il pagamento stesso, dall’altro; - ecco che allora è appena il caso di rammentare quel che è il contenuto essenziale del concetto di danno erariale: il presupposto di questi è da rinvenirsi nell’ingiusto depauperamento delle risorse pubbliche, caratterizzato dalla compresenza di un evento dannoso, di un nesso causale con una data condotta e del relativo elemento psicologico. La prestazione resa dal pubblico dipendente a favore di terzi non necessariamente implica un danno per l’amministrazione! Troppe volte, viceversa, la pavidità e la misconoscenza di questi concetti conducono l’amministrazione a fare scelte irragionevoli. Un utilizzo di risorse pubbliche è prodromico di un danno erariale se esso è ingiustificato e immotivato, ma se, come nel nostro caso, l’ente gestore è in grado di far comprendere quale sia il motivo per cui è legittimo ch’esso sia pagato, ove mai potrebbe riposare la responsabilità amministrativa del funzionario che a ciò provvede?
- più criptico è l’inciso aggiunto dal d.l. n. 34/2020 (“Le pubbliche amministrazioni possono riconoscere, ai gestori, un contributo a copertura delle spese residue incomprimibili, tenendo anche in considerazione le entrate residue mantenute, dagli stessi gestori, a seguito dei corrispettivi derivanti dai pagamenti delle quote di cui al presente comma e di altri contributi a qualsiasi titolo ricevuti”). Certamente in questo caso, a differenza che nei casi precedenti, trattasi di una “facoltà” riconosciuta alle amministrazioni, relativamente alla quale gli enti gestori non possono vantare alcun diritto soggettivo perfetto. In questo caso è attribuita agli Enti Locali la facoltà di corrispondere una quota a titolo di contributo per le spese residue incomprimibili; la natura di “contributo” lo differenzia dal “corrispettivo” per le prime due quote (cit.) previste dall’art. 48 (come visto sopra da corrispondere in ragione delle prestazioni riqualificate erogate e del mantenimento della struttura). Si tratterà di valutare caso per caso situazioni per cui, la
diminuzione delle entrate da parte della Struttura dovuta al periodo emergenziale, non consenta alla medesima di far fronte a spese assolutamente ineludibili. È evidente che un siffatto contributo può essere erogato senza che vi sia un previo impegno di spesa, ma sulla base di una valutazione/verifica delle spese che per la Struttura devono essere sostenute in via necessaria e indifferibile.
Al quadro sopra delineato si aggiunge la un ulteriore tassello: la recente D.G.R. n. 3183 del 26/05/2020, recante “Art. 8 DPCM 26 aprile 2020 come modificato dall’art. 9 del DPCM del 17 maggio 2020: avvio fase due servizi semiresidenziali per persone con disabilità”.
Tale provvedimento è di significativa importanza in quanto conferma pienamente la linea interpretativa sin qui illustrata a riguardo dell’art. 48 del d.l. c.d. “Curaitalia” e s.m.: esso si sostanzia nel “Piano territoriale regionale” necessario al fine della ripresa delle attività/riapertura dei centri diurni sociali e sociosanitari per persone con disabilità, come richiesto dalla normativa nazionale.
Per quanto qui di interesse si evidenzia: - che le attività riqualificate effettuate a favore dei soggetti disabili da parte di enti gestori nel periodo emergenziale ai sensi degli artt. 47 e 48 sono state garantite per un numero elevato di ospiti “attraverso altre e diverse modalità”, e, in alcuni casi, attraverso lo strumento della coprogettazione (v. la Premessa all’allegato A della D.G.R. in esame).
- al pt. 5 dell’allegato A è espressamente indicato che anche nella fase 2 la pubblica amministrazione dovrà “riconoscere le diverse attività previste (…)” contando sulle “risorse regionali e comunali già disponibili, che sono state stanziate all’interno dei budget stabiliti per il funzionamento dei servizi”, e questo riconoscimento avviene – sempre ai sensi del pt. 5, “ai sensi dell’art. 48 del DL 18 marzo 2020″; ciò conferma in maniera univoca ed assolutamente evidente, semmai ce ne fosse bisogno, che la linea interpretativa della regionale sposa il fatto che il dispositivo dell’art. 48 è finalizzato al riconoscimento economico da parte della pubblica amministrazione dell’attività riqualificata dei centri semiresidenziali (e delle altre voce così come indicate nella nuova versione di cui all’art. 109 del d.l. c.d. “Rilancio”, come sopra ampiamente illustrato).