Fonte: Articolo pubblicato sul Il Sole 24 Ore

di Valentina Melis

Il Forum lancia l’allarme su una possibile «strage degli innocenti»: rischia di morire senza cure il 15% dei 60mila anziani ospiti delle residenze sanitarie assistenziali

La chiamano con un titolo forte «la strage degli innocenti». È la morte di centinaia di anziani con disabilità che sta avvenendo per l’epidemia di coronavirus a casa o nelle residenze socio-sanitarie regionali. La denuncia arriva dal Forum del Terzo settore della Regione Lombardia, insieme ad alcune delle associazioni più attive nelle cura alle persone anziane e disabili: Ledha, Uneba Lombardia e Alleanza Cooperative Italiane-Welfare Lombardia.

Secondo le associazioni, queste persone «muoiono senza poter avere accesso a tutte le cure a cui vengono invece sottoposte le persone che riescono ad essere ricoverate. Le persone che li assistono, si tratti di parenti o di operatori sociosanitari – si legge nella dura nota diffusa il 30 marzo – rimangono ancora sprovvisti delle mascherine e dei dispositivi di protezione necessari per evitare di contagiare e di essere contagiati».

Secondo la portavoce del Forum del Terzo settore della Lombardia Valeria Negrini, alla fine dell’epidemia di Covid 19 «rischiamo di perdere il 15% delle persone ricoverate nei 60mila posti disponibili nelle residenze sanitarie assistenziali della Lombardia, che rappresentano una fetta molto ampia dei 200mila posti disponibili a livello nazionale». Tradotto dalla percentuale ai numeri, significa 9mila persone che rischiano di morire senza cure adeguate.

Alla base di questa situazione drammatica c’è anche la mancanza nelle Rsa di personale medico specializzato nel contrasto al coronavuirus: infettivologi, pneumologi e – per i casi più gravi – palliativisti. Inoltre, c’è una cronica carenza di mascherine, camici di protezione, tute e saturumetri per gli operatori. «Spesso – aggiunge Valeria Negrini – le Rsa stanno accogliendo gli anziani dimessi dagli ospedali ma non ancora negativi al Coronavirus».

Secondo Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, che riunisce 400 strutture fra Rsa ed Rsd (residenze per persone disabili), «stiamo parlando di persone ultraottantenni, non autosufficienti e con altre patologie. Se è stato deciso di non sottoporle a tampone e non c’è possibilità di garantire loro il ricovero in terapia intensiva, almeno è necessario mettere le strutture che li ospitano in grado di assistere malati acuti e infettivi».

Carenza di mascherine anche a livello nazionale

L’assenza di mascherine e in genere di dispositivi di protezione per gli operatori del settore socio-sanitario e assistenziale è denunciata anche dal Forum nazionale del Terzo settore nazionale, come spiega la portavoce Claudia Fiaschi: «I presidi sociali, come le residenze per persone disabili e i centri residenziali per minori, stanno continuando le loro attività. Lavoratori e volontari delle organizzazioni che li assistono continuano a operare, a volte senza poter mantenere le distanze dalle persone assistite. Ma a differenza del settore sanitario, non hanno protocolli di gestione omogenei e spesso non hanno adeguati dispositivi di protezione. E quando questi dispositivi si trovano sul mercato, hanno costi fino a tre volte superiori al normale. «Investire anche nella prevenzione del contagio – aggiunge Fiaschi – è fondamentale».

L’emergenza economica del Terzo settore

Fra le quasi 340mila organizzazioni del Terzo settore, si sono fermate (a parte le attività a distanza) le associazioni sportive dilettantistiche e quelle dell’ambito culturale e ricreativo. Non si sono fermate, invece, le organizzazioni dell’ambito socio-sanitario, quelle attive nell’assistenza domiciliare e nelle residenze per anziani, disabili, minori (peraltro, la circolare 1/2020 del ministero del Lavoro diffusa il 27 marzo ha precisato che non è prevista la sospensione delle attività dei servizi sociali , che anzi – si legge – «possono rivestire nell’attuale contesto un ruolo cruciale»).

Molte organizzazioni del Terzo settore stanno lavorando senza poter proseguire le attività di autofinanziamento che svolgevano prima dell’epidemia, o con ricavi ridotti (ad esempio per l’interruzione di una serie di servizi svolti nei Comuni), e con costi di gestione a volte più elevati per dotarsi degli strumenti o dell’organizzazione necessari a operare durante l’emergenza sanitaria. La portavoce del Forum nazionale Claudia Fiaschi chiede dunque «lo sblocco dei pagamenti di tutti i progetti già avviati, lo sblocco degli oltre 50 milioni già attribuiti dal ministero del Lavoro per i progetti delle organizzazioni di volontariato e per l’acquisto di ambulanze in attuazione degli articoli 72 e 73 del Dlgs 117/2017 e l’anticipazione del cinque per mille dell’Irpef 2020».

Una richiesta, quest’ultima, che arriva anche dal presidente dell’Associazione nazionale Fundraiser (Assif) Nicola Bedogni: «La richiesta di Assif – dice- è di sbloccare immediatamente i proventi del 5 per mille dell’Irpef relativo alle dichiarazioni dei redditi 2018 e 2019: un miliardo di euro che gli italiani hanno già destinato alle organizzazioni non profit e che da tempo sono disponibili nelle casse dello Stato. Con l’uscita delle liste 2018 e 2019 dei beneficiari le organizzazioni potranno vantare un credito esigibile da utilizzare per concordare anticipazioni con gli Istituti Bancari».