Testo curato dal Prof. Avv. Luca Degani nel 2004 sui diversi soggetti operanti nel Terzo Settore.

Introduzione

La difficoltà più evidente nell’uso del termine terzo settore è intendersi su quali soggetti ne facciano realmente parte.

Infatti, mentre dal lato economico e sociologico si è ormai giunti ad una comune identificazione che, con alcune sfumature, individua il Terzo settore come quello in cui i soggetti privati, operanti senza scopo di lucro, producono dei beni di natura relazionale, tale parziale certezza di identificazione non si ritrova in una visione giuridica del problema.

Questo è dovuto probabilmente al fatto che se il primo settore, il sistema pubblico, è chiaramente identificato da una comune presenza di Enti dotati di personalità giuridica di diritto pubblico ed il secondo settore, il mercato, è composto da quegli Enti commerciali, Società di capitali e di persone, con una omogenea disciplina civilistica, la stessa chiara identificazione normativa non è possibile rinvenire per i soggetti del terzo settore.

Vedremo anzi che, nell’attuale sistema normativo, al fine di identificare dal punto di vista giuridico gli Enti del terzo settore, sarà necessario combinare i soggetti (gli Enti) con l’oggetto di attività, cioè le materie in cui gli stessi operano.

I soggetti

Tre sono le tipologie di Enti che meglio rappresentano i diversi generi di realtà operanti nel terzo settore : le Fondazioni, la Associazioni, le Cooperative. Da questi generi si sviluppano e/o si ritrovano nelle loro norme istituzionali quelle tre specie di Enti che potremmo dire costituiscano il “nuovo” del terzo settore e che sono: le Organizzazioni non Governative (ONG L. 49/87) delle quali, data la loro esiguità, non tratteremo, le Organizzazioni di volontariato (L. 266/91) e le Cooperative Sociali (L. 381/91).

Necessario, infine, richiamare quelle altre due specie di Enti del terzo settore che, rappresentative dei “vecchi” organismi operanti nel sociale, senza accezione negativa bensì con significato storico, ritrovano anch’essi nei primi tre generi espressi la loro matrice istituzionale. Tali Enti sono: le Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (IPAB L. 1890/6972) e gli Enti Ecclesiastici (L. 222/1985).

Diamo pertanto, nell’ordine sopra descritto, una breve definizione dei singoli soggetti richiamati:

Fondazione

La Fondazione ha tre elementi essenziali: un patrimonio, uno scopo, un organo di amministrazione.

L’elemento patrimoniale, la presenza cioè di una dotazione di un valore economico che non può essere ad oggi inferiore a cento milioni, è l’elemento fondamentale di quest’Ente che deve essere necessariamente un Ente riconosciuto, cioè dotato di personalità giuridica.

Il patrimonio dell’Ente è finalizzato ad uno scopo determinato e fissato per sempre dal fondatore. La Fondazione può nascere per testamento o donazione.

L’organo amministrativo, di norma il Consiglio di Amministrazione, ha funzione servente, esso deve cioè garantire il corretto uso del patrimonio finalizzandolo allo scopo; la volontà dell’Organo di amministrazione dell’Ente è subordinata a quanto espresso dal Fondatore nello Statuto o Atto costitutivo.

La disciplina giuridica di istituzione, vigilanza, controllo sugli atti, trasformazione ed eventuale estinzione si ritrova in pochi articoli del I° Libro del Codice Civile dagli artt. 12 a 34.

Le Associazioni

Due sono gli elementi essenziali dell’Ente: I Soci e lo scopo.
Un terzo elemento, il patrimonio, è meramente eventuale, seppur obbligatorio in quegli Enti che intendono dotarsi di personalità giuridica, e comunque servente rispetto ad i due elementi essenziali.

Nell’Associazione fondamentale è la volontà degli Associati che è libera e sovrana nella determinazione e modificabilità del proprio scopo sociale.
Il legislatore, al fine di riconoscere il carattere Associativo di un Ente, tende sempre più a richiedere due elementi connessi alla libera espressione della volontà dei soci quali la democraticità della struttura e l’elettività delle cariche sociali, in carenza dei quali pone in dubbio la natura associativa dell’Ente.

La normativa di riferimento è altrettanto scarsa quanto quella delle Fondazioni, si ritrova infatti anch’essa nei medesimi articoli del Codice Civile per le Associazioni dotate di personalità giuridica ed in tre scarni articoli (36-37-38) del Codice per le Associazioni non riconosciute, con facoltà per le stesse di un’applicazione, per quanto compatibili, delle norme degli Enti riconosciuti.

Le Cooperative

Le Cooperative si definiscono come imprese con scopo mutualistico. Sono cioè Enti che, al fine dello strumento giuridico istituzionale di funzionamento, ritrovano la propria disciplina all’interno della normativa riguardante le Società di capitali.

Quindi possiamo avere Cooperative costituite in società per azioni piuttosto che in Società a responsabilità limitata.

La loro appartenenza al terzo settore, spesso posta in discussione per quanto riguarda alcuni macro-fenomeni economici che oggi si esprimono sotto la forma cooperativistica, è determinata dallo scopo mutualistico, elemento essenziale di questo tipo di Ente. Come scopo mutualistico si intende la volontà di ottenere per i soci, attraverso l’organismo cooperativo, un vantaggio ulteriore e diverso da quello della semplice divisione degli utili; ad esempio un minor costo nell’acquisto di prodotti alimentari, nella possibilità di acquisto di una casa d’abitazione etc.

La normativa di riferimento è ampia e si ritrova nel libro V° del Codice Civile agli artt. 2511 e ss. ed in varie leggi speciali.

Le Cooperative Sociali

Le Cooperative sociali sono Enti normati, nel loro modello istituzionale, dalla disciplina applicabile alle Cooperative costituite in Società a responsabilità limitata.

Hanno la particolarità di essere esclusivamente finalizzate a due distinti scopi:

  • all’inserimento lavorativo di soggetti svantagggiati;
  • alla erogazione di servizi socio-sanitari ed educativi

La peculiarietà ulteriore di tali Enti, disciplinati dalla L.381/1991, consiste in una serie ulteriori di garanzie richieste dal legislatore al fine della assoluta carenza dello scopo di lucro dei soci ed alla certezza della finalizzazione a scopi sociali del patrimonio. Tali garanzie vedremo che rendono tale tipologia di Enti, al pari delle Organizzazioni di volontariato, particolarmente apprezzata e quindi supportata dalla Pubblica amministrazione.

Le Organizzazioni di volontariato

La caratteristica fondamentale di questo tipo di Ente, che può teoricamente adottare la forma giuridica dallo stesso ritenuta più opportuna ma che sostanzialmente assume quasi sempre la forma associativa, è la presenza prevalente e determinante di volontari nei momenti fondamentali della vita dell’Ente.

Anche per questo Organismo il legislatore ha previsto, con la L.266/1991, una serie di clausole obbligatorie in ordine, tra l’altro, alla garanzia della finalizzazione a scopi sociali del patrimonio, nonché a esprimere lo scopo non lucrativo dell’Ente e la democraticità della struttura dello stesso.

Le IPAB

Le Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza sono istituzioni private di carità che a seguito della L. 6972/1890 furono erette in Enti Pubblici.

La pubblicizzazione di tali Enti comportò, in realtà, solo un loro coordinamento e controllo da parte dello Stato, fu salvaguardata l’originaria volontà dei Fondatori. Pertanto questi Enti risultano in gran parte ancora gestiti dagli Organi previsti dalle tavole di Fondazione e continuano ad operare per i fini in esse stabiliti.

E’ notevole l’importanza quantitativa ed economica di tali Enti aventi sostanziale natura, per gran parte di essi, di Fondazione.

Inoltre è da evidenziare come la progressiva privatizzazione delle IPAB, iniziata con una Sentenza della Corte Costituzionale del 1988 e in via di proseguimento e rafforzamento ora con una specifica previsione nel disegno di legge quadro sull’assistenza, porterà ad un sostanziale aumento di tali Organismi nel novero degli Enti del terzo settore.

Gli Enti Ecclesiastici

Sono quegli Enti che traggono origine nella struttura e nell’ordinamento della Chiesa Cattolica (congregazioni, parrocchie, etc.). Tali Enti, pur essendo, come da disposizioni Concordatarie, principalmente finalizzati a scopi di religione e di culto, possono operare in materie diverse quali quelle sociali o di beneficenza .

Si tratta sempre di Enti dotati di personalità giuridica la cui disciplina fondamentale si ritrova nella L. 222/1985.

I rapporti tra P.A. e Terzo Settore

Al fine di supportare l’attività dei soggetti del terzo settore il legislatore adotta due differenti modalità principali di sostegno: il sostegno indiretto e/o quello diretto.

Il supporto indiretto è quello che si manifesta particolarmente attraverso la normativa fiscale e tributaria. In questo senso è esemplare la scelta che il legislatore nazionale ha adottato con il D.lgs. 460/97.

Tale atto concede infatti una serie di vantaggi fiscali e tributari sul presupposto di una valutazione positiva dell’attività esercitata da tali Enti.
Al fine della individuazione dei soggetti interessati da questa modalità di sostegno si rimanda alle considerazioni espresse nel capitolo successivo, mentre per quanto riguarda la quantificazione di tale beneficio si rinvia all’articolo pubblicato su questo stesso numero da parte del Centro di servizi per il volontariato della Provincia di Milano ad esplicazione e commento del D.lgs. 460/97.

Un discorso a parte merita il supporto diretto, cioè le possibili modalità di relazioni privilegiate che il Pubblico sistema ha inteso adottare fino ad oggi con gli Enti del terzo settore.

Innanzitutto è da effettuare una netta distinzione tra quanto legiferato dal legislatore nazionale e quanto posto in essere nella legislazione, soprattutto in materia di servizi sociali, di diversi Ordinamenti regionali.
Ad oggi infatti il legislatore nazionale ha previsto la possibilità di porre in essere rapporti convenzionali specifici per l’esercizio di attività di rilevanza sociale che la P.A. considera come proprie solo con quei soggetti che prima abbiamo definito essere considerati il “nuovo” del terzo settore ossia ONG, volontariato, cooperazione sociale.

A tal fine due sono stati gli interventi di maggior rilievo: uno concernente le Organizzazioni di volontariato ed uno in materia di Cooperative sociali.
Per quanto riguarda le Organizzazioni di volontariato è da evidenziare la rilevanza di quella disposizione della L.266/1991 la quale, pur in carenza di un riconoscimento giuridico dell’Ente, garantisce allo stesso la possibilità di essere titolare attivo di rapporti convenzionali con la Pubblica amministrazione.

Di ancor maggior rilievo quanto previsto per le Cooperative sociali in merito alla possibilità, riconosciuta esclusivamente alle Cooperative sociali finalizzate all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, di porre in essere rapporti convenzionali con la Pubblica Amministrazione anche in deroga alla normativa pubblicistica sull’affidamento di contratti di fornitura di beni e servizi.

Inoltre, in una visione evolutiva della tecnica legislativa è da porre grande attenzione alla Legge 285/97 (Legge Turco per l’intervento a favore della popolazione minorile)che, per la prima volta, usa il riferimento alle ONLUS come soggetto privilegiato per la costituzione di rapporti convenzionali con la Pubblica Amministrazione per l’attuazione dei piani di zona a favore della popolazione minorile.

Una storia legislativa diversa è invece presente in molti ordinamenti regionali nei quali la presenza del terzo settore aveva già un maggior spazio di riconoscimento; è il caso ad esempio della L.R. 1/86 della Lombardia sulla Organizzazione dei servizi sociali. Tale legge risulta inoltre essere estremamente simile a quelle concernenti il medesimo oggetto delle principali regioni del centro-nord.

In tali atti normativi,e nei relativi atti di programmazione, ai soggetti del Terzo settore, intesi come la sommatoria di quelli indicati nel primo capitolo di questo breve articolo, è riservato un ruolo fondamentale e privilegiato non solo in ordine all’instaurazione di rapporti convenzionali finalizzati all’esecuzione di servizi ma è anche riservato un ruolo di rappresentazione dei bisogni territoriali e di collaborazione alla stesura degli atti di programmazione.

E’ perciò di estremo interesse vedere le tendenze evolutive manifestate nella nuova legislazione regionale sul sistema socio-sanitario espresse nell’articolo che segue del Prof. Paolo Ferrario.

Infatti al fine della qualificazione come ONLUS vi sono richieste espresse di modifica statutaria i cui concetti, ad esempio quello di attività “istituzionale” piuttosto che “connessa”, avrebbero meglio necessitato di una chiarificazione di tipo civilistico. D’altra parte lo stesso concetto di persona svantaggiata soffre di una definizione che non è sufficientemente chiarita in mancanza di una legislazione sociale di riferimento.

In conclusione l’augurio è che la qualificazione giuridica e la normativa istituzionale concernente gli Enti del terzo settore trovino al più presto una migliore e più opportuna collocazione in un testo normativo modificativo dell’attuale scarso impianto del codice Civile.

Le attività dei soggetti del terzo settore

Abbiamo visto come le diverse tipologie di soggetti richiamati, soprattutto i tre tipi fondamentali di Enti da cui le altre organizzazioni derivano, non solo non hanno sempre espresso nella loro normativa di riferimento quali possano essere le materie oggetto del loro scopo sociale ma teoricamente non hanno nemmeno la previsione normativa di alcune caratteristiche quali la carenza di scopo di lucro o il divieto di distribuzione di utili che, nell’immaginario collettivo, dovrebbero sempre connotare gli Enti del terzo settore.

Ed è probabilmente proprio per questo che il nostro legislatore, con una tecnica giuridica a dir poco discutibile, invece di identificare una nuova organica normativa civilistica di tali Enti ( vd. l’affossato progetto Cassese) ha inteso costruire una quasi-organica disciplina fiscale e tributaria che tendesse da un lato a reprimere l’abuso di forme giuridiche improprie per l’esercizio di attività sostanzialmente commerciali dall’altro ad individuare e premiare Enti che, accomunati da spirito solidaristico, esercitano attività di impresa sociale.

In questo senso è da leggersi il D.lgs. 460/97 che, chiaramente diviso in due titoli diversi (art. da 1 a 9 per gli Enti non commerciali e da 10 alla fine per le ONLUS), compie una operazione, impropria essendo posta in essere in una legge fiscale, di determinazione dell’assetto istituzionale degli Enti del terzo settore.

Infatti d’ora in poi quegli Enti che non potendo o non ritenendo opportuno optare per la scelta di essere considerate Organizzazioni non lucrative di utilità sociale, riterranno di permanere nella disciplina di cui agli articoli da 1 a 9, come ben espresso dall’articolo 6 dello stesso dettato normativo, dovranno fondare la propria vita sociale sulla base di attività che non potranno mai dare adito alla fruizione di corrispettivi. Pertanto permarranno in questa categoria di Enti non commerciali solo quelle organizzazioni che non sono costituite al fine di porre in essere una delle caratteristiche accomunanti degli Enti del Terzo Settore, ossia l’esercizio di un’attività di impresa sociale.

D’altronde la legittimazione per gli Enti del terzo settore di poter esercitare un’impresa sociale pare invece proprio essere la caratteristica e la finalizzazione della normativa riguardante le ONLUS.

Non è un caso perciò la scelta del legislatore di considerare ONLUS di diritto le tre Organizzazioni considerate in premessa il “nuovo” del terzo settore; cioè le Cooperative sociali, il volontariato e le ONG.

Questo è motivato dal fatto che le stesse già sono dotate di quella fiducia pubblica garantita da una normativa specifica istitutiva dei loro Organismi e che quindi non rende necessaria una specifica dichiarazione di non lucratività e di solidarietà sociale, richiesta invece, insieme ad altre clausole di salvaguardia della destinazione patrimoniale e della correttta amministrazione, agli altri soggetti privati del terzo settore.
Tale impostazione normativa giustifica tra l’altro anche il fatto che gli stessi Enti Ecclesiastici, quando esercitano attività di solidarietà sociale, ottengono una richiesta meno onerosa di adeguamento della propria struttura.

I dubbi più evidenti che nascono dall’impostazione normativa del D.lgs. 460/97 non nascono dalla limitazione delle undici materie nelle quali è possibile esercitare l’attività sociale da parte dei soggetti del terzo settore piuttosto che dalla richiesta che tali prestazioni siano finalizzate in modo esclusivo o prevalente a soggetti svantaggiati, bensì dall’improprietà di un certo linguaggio “fiscale” che mal si concilia con concetti di altra materia dell’universo normativo.