Intervista rilasciata dall’Avv. Degani a Lombardia Sociale sul tema del contratto di ingresso previsto dalle Regole 2014.
L’allegato 4 alla DGR regole 2014 ( X/1185 del 20/12/2013) presenta il “contratto tipo” che dovrà regolare il rapporto tra l’Ente gestore e la persona con disabilità o l’anziano preso in carico. Nel dibattito stanno emergendo alcuni aspetti giudicati critici, raccogliamo un punto di vista esperto per poter comprendere nel merito giuridico la validità della regola.
Avvocato Degani, come giudica il valore e la validità del contratto e dei suoi contraenti. Nel dibattito in corso vengono messi in evidenza la situazione di grave asimmetria tra la persona che richiede l’ingresso in struttura e l’ente gestore, nonché l’assenza di riferimenti al ruolo del Comune.
Andiamo con ordine. A guardare la formulazione del contratto, tenderei a dire che è un contratto di per sé fatto bene dal punto di vista della disciplina privatistica, dove sono ben distinti i due piani della tutela economica e giuridica.
Il problema a mio avviso non è tanto il contratto in sé, quanto il fatto che non vi sia sufficiente chiarezza di come le problematiche di colui che entra in un servizio trovino immediatamente percorsi di presa in carico sui due differenti aspetti – tutela giuridica ed economica – da parte dei soggetti che ne hanno la responsabilità istituzionale. Detto altrimenti, che le indicazioni del contratto non siano inserite in un percorso di tutela della persona.
E’ un contratto leggero, da welfare “leggero”, tanto leggero che ciò che manca non è la disciplina privatistica, appunto, quanto la posizione di garanzia delle pubbliche amministrazioni.
Un contratto di questo tipo andrebbe bene in un sistema “forte” di garanzie, ovvero che riesce a rendere edotta la persona che si trova in una situazione di bisogno economico, rispetto alla certezza di una relazione con il proprio ente locale, nonché che dà la certezza della presa in carico sulla tutela e protezione giuridica da parte dell’Asl. A mio avviso è questo che manca.
In Lombardia abbiamo un assetto normativo che offre delle possibilità: l’ufficio di protezione giuridica che si occupa della tutela personale e la possibilità di attivare Isee da parte degli enti locali. Questa attivazione, per essere funzionale, deve essere qualcosa che – nella libertà di scelta della persona – deve essere conosciuta e, come detto, facilmente ottenibile. Mentre sappiamo che oggi di fatto il cittadino non sa fino in fondo, se non solo rivolgendosi alla struttura, quali siano i suoi percorsi di tutela personale ed economica. Il paradosso che si crea è quello di un rapporto, certamente virtuoso ma troppo discrezionale, tra ente gestore e persona. Sarà l’ente che dirà all’utente che può rivolgersi al Comune per l’integrazione della retta e sarà sempre il gestore ad attivare l’amministratore di sostegno per la mancanza di un consenso informato all’ingresso o per gestire interventi ad esempio di contenzione nel corso della presa in carico. Ma questo è un sistema distorto.
A ben vedere però questa formulazione – cioè il non tenere in considerazione i percorsi di garanzia e dunque non considerare il Comune tra i contraenti- è basata sull’effettiva realtà delle cose. E’ un dato di fatto cioè che nella nostra regione il rapporto sia diretto tra gestore e utente.
Questa scelta pone una criticità ulteriore, ovvero che vengano demandati all’ente aspetti di tutela e protezione che dovrebbero essere di responsabilità pubblica. Si dice infatti che è l’ente gestore a dover valutare l’appropriatezza e ad identificare la presenza di situazioni complesse da comunicare all’Asl e al Comune. Ma gli enti non hanno capacità formale e sostanziale per svolgere queste funzioni, banalmente non hanno nel minutaggio la figura dell’assistente sociale.
In generale è irrazionale che si demandi ad un rapporto privatistico ciò che è la presa in carico di un diritto sociale.
In caso di morosità dell’ospite, la DGR prevede la possibilità di dimetterlo indipendentemente dalla condizione di bisogno. Considerando che la residenzialità si configura come strumento per la realizzazione dei LEA, ritiene che questa strada sia effettivamente praticabile?
E’ utile dire che in moltissimi contratti questa possibilità era già presente anche prima di questa regola, trattandosi di contratti a prestazione corrispettive (aspetto che già adesso è contestato). Non trattandosi di un rapporto concessorio, l’ente gestore ha titolo a dimettere.
Per la mia esperienza però va anche detto che di ospiti dimessi per morosità abitualmente non se ne vedono. Di solito l’ente gestore tende ad agire, anche giudizialmente, nei confronti dell’ente locale per mancata presa in carico.
Parliamo cioè di un Lea che di per sé non impedisce la dimissione, ma che invece dà titolo all’ente gestore che ha in carico un ospite che si trova in una situazione di insolvenza determinata da situazione di incapacità economica, di poter agire nei confronti dell’ente locale – anche dal punto di vista giudiziale e coattivo – per richiederne il pagamento.
Ancora una volta però sposto la questione: la dimissione da parte dell’ente gestore non deve vedere un’impossibilità di porla in essere determinata da un rapporto tra due privati, ma dovrebbe vedere un’obbligatorietà di intervento da parte di una pubblica amministrazione.
Detto altrimenti è normale che tra due soggetti privati, se si determina una situazione di morosità, sia prevista la sospensione della prestazione, quello che non è normale invece è che, se la persona è inserita in un percorso di cura – e non si sta contestando l’appropriatezza del ricovero – , non sia previsto l’intervento da parte della pubblica amministrazione titolare della presa in carico a garanzia della copertura economica. Ritorniamo così a quanto già detto nella precedente domanda
Su questo però non possiamo nascondere che l’altro vero problema è che siamo in una situazione caratterizzata da tanti comuni, di piccole dimensioni e molti con grave deficit economico, ovvero che possono anche trovarsi davanti a decreti ingiuntivi che li obbligano al pagamento, ma che non riescono ad avere le risorse per pagare.
Qual è la sua opinione sul modo di determinare la quota sociale della retta, formulata sottraendo il voucher regionale dal costo del servizio?
Il problema non è tanto lo scorporo del voucher in sè, piuttosto quello di capire come viene definito il valore del voucher. Il voucher dovrebbe essere quantificato in misura tale da essere credibile in riferimento alla previsione LEA e al costo complessivo della prestazione, cioè quello che deriva dal minutaggio richiesto ai fini di accreditamento, percentualizzato sulla base della gravità della situazione presa in carico. In altri termini, la definizione del valore del voucher dovrebbe essere razionale e coerente con la previsione del Lea e l’intensità dell’assistenza.
Se invece il voucher viene calcolato su minutaggi che non corrispondono a quanto necessario per la presa in carico di quella specifica situazione, allora il vero problema sta lì.