Disamina organica della legge regionale lombarda n. 3/2008 a cura dell’Avv. Luca Degani e dell’Avv. Raffaele Mozzanica.

Il contesto costituzionale

Non è possibile analizzare la legge della regione Lombardia in mate-ria di «Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario», senza ricordare il profilo costituzionale che è andato disegnandosi dall’inizio del 2000 ad oggi e nel quale si colloca il riordino attuato dal legislatore regionale sulla tematica dei servizi alla persona.

La ridefinizione delle competenze legislative tra stato e regioni intro-dotta dalla Legge Costituzionale n. 3 del 2001, modificativa del Titolo V della Costituzione, ha attribuito alla competenza esclusiva delle regioni la materia dei “servizi sociali”. Infatti, ai sensi del comma IV dell’articolo 117, spetta ora alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata allo Stato. Ne è conseguito che la materia dell’assistenza sociale, non essendo menzionata tra le materie di competenza statale, né tra quelle di competenza concorrente sia divenuta terreno esclusivo delle regioni, ad eccezione della determinazione dei livelli essenziali di assistenza sociale (LIVEAS), ad oggi non ancora definiti dal legislatore nazionale.

Sulla base di questa riorganizzazione dell’architettura dello Stato molte regioni hanno disciplinato i servizi alla persona sul proprio territorio prevalentemente con leggi di carattere organico .
La regolamentazione esclusiva regionale soggiace, secondo il novel-lato articolo 117 Cost., al rispetto della Costituzione e quindi ai suoi principi fondamentali, nonché ad i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali dello Stato.
La richiamata riforma costituzionale ha superato, sotto il profilo temporale e della gerarchia delle fonti, la legge 328/2000 che, pubblicata l’anno precedente, rappresentava la nuova disciplina nazionale in tema di assistenza sociale .

La nuova legge regionale, all’interno delle disposizioni generali, esprime la volontà di disciplinare in modo organico la rete delle unità d’offerta sociali e sociosanitarie, in armonia con i principi enunciati dalla legge 8 novembre 2000 n. 328, riconoscendo dunque una validità ordina-mentale ai principi richiamati dalla legge nazionale.

Per quanto concerne l’assetto costituzionale della materia socio sanitaria, per cui si propende per una competenza regionale concorrente e non esclusiva, ci si soffermerà più ampiamente su tale enunciato nel corso del presente articolo.

Il contesto normativo lombardo

La Regione Lombardia, già negli anni ’80, aveva regolamentato i servizi socioassistenziali sul proprio territorio con la legge regionale n. 1 del 1986, avente ad oggetto la «Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio assistenziali della Regione Lombardia».
Successiva è la disciplina dettata dalla legge regionale 31/1997 in materia sociosanitaria, laddove, nel contesto di riordino del sistema sanitario regionale, a fronte dell’approvazione del decreto legislativo 502/1992, normava, seppur parzialmente, la difficile tematica dell’assetto istituzionale dei servizi sociosanitari con la creazione del Dipartimento Attività Socio-Sanitarie Integrate (A.S.S.I.) nell’ambito dell’ASL.

Infine nell’ambito della rideterminazione delle funzioni delle autonomie locali, deve ricordarsi l’adozione della legge regionale 1/2000, attuativa del cosiddetto “pacchetto Bassanini” .

La legge regionale 1/1986 identificava i destinatari dei servizi sociali e sociosanitari, regolamentava l’assetto istituzionale e organizzativo dei servizi sociali e disciplinava la tipologia degli interventi sul territorio.
La nuova legge regionale abroga la legge del 1986 prefiggendosi l’obiettivo di disciplinare la rete delle unità di offerta sociali e sociosanitarie per il perseguimento della finalità di promozione di «condizioni di benessere e inclusione sociale della persona, della famiglia e della comunità e di prevenire, rimuovere o ridurre situazioni di disagio dovute a condizioni economiche, psico-fisiche o sociali» (art. 1, c. 1), riprendendo in parte l’interessante definizione di servizi sociali dettata dal decreto legislativo 112/1998 all’articolo 128.

La nuova legge si inserisce in un contesto di grande cambiamento delle politiche sociali e sociosanitarie lombarde se si considera il complesso normativo che ha ridisegnato negli ultimi cinque anni il sistema partendo dalla nuova determinazione dei requisiti di accreditamento e livelli di remunerazione delle strutture per anziani, disabili ed arrivando alla legge regionale 34 del 2005 in tema di servizi per minori .

L’obiettivo del legislatore lombardo sembra dunque quello di regolamentare l’insieme dei soggetti che sono riconosciuti costitutivi della rete al fine di porre in essere e garantire un sistema efficace di servizi alla persona sulla base delle attività da essi poste in essere attraverso la pluralità di unità d’offerta presenti e delle relative prestazioni erogate. Se da un lato dunque è apprezzabile il riconoscimento ex ante dei soggetti del privato sociale che svolgono attività assistenziale e sociosanitaria, da altro punto di vista la regolamentazione del sistema rischia di relegare ad un livello secondario l’aspetto del bisogno e delle priorità dei destinatari dei servizi stessi.

Sotto certi aspetti questa norma pone la lettura del dato epidemiologico del bisogno in maniera secondaria rispetto alla necessità, pur apprezzabile, di disciplinare la presenza di una pluralità di formazioni sociali interessati a programmazione progettazione e gestione dei servizi alla persona.

La legge regionale 3/2008

La rete delle unità d’offerta sociali e sociosanitarie è rappresentata dall’insieme integrato «dei servizi, delle prestazioni, anche di sostegno economico e delle strutture territoriali, domiciliari, diurne, semiresidenziali e residenziali» (art. 1, c. 2); il legislatore regionale ha stabilito che tale rete debba garantire «il diritto alla esigibilità delle prestazioni sociali e sociosanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza» (art. 1, c. 3).
Se da un lato è indubbio che la prestazione erogata dalle unità d’offerta si sostanzi – almeno per quanto rientra nei livelli essenziali – in un diritto sociale, ormai riconosciuto quale diritto soggettivo alla prestazione e nel limite delle risorse di sistema, dall’altro non sembra possibile addossare alla titolarità della rete, così come intesa, la garanzia assoluta del soddisfacimento di tale diritto. Dovendosi inoltre, in ogni caso, da un lato individuare più specificatamente gli enti pubblici titolari di tale obbligo giuridico e dall’altro, soprattutto, comprendere il contenuto della prestazione a cui si ritiene di avere diritto e l’identificazione del destinatario della stessa. In questo contesto si apre quindi un’ampia panoramica sulla distinzione tra il diritto alle prestazioni sociali, in via di determinazione nei già citati LIVEAS, ed invece tutta la ampia e forse ancor più robusta materia del diritto alle prestazioni sociosanitarie che oggi trovano una specifica, seppur complessa, identificazione nei LEA di cui al D.P.C.M. 29 novembre 2001 ormai rientranti nella tematica organizzativa del Servizio Sanitario Nazionale occorrerebbe spiegare, anche in nota, cosa sono i LIVEAS e i LEA

3.1 La rete degli interventi e dei servizi

Ai molteplici attori del sistema, a cui la legge riconosce un ruolo sulla base del principio di sussidiarietà, sono attribuiti compiti di programmazione, progettazione e realizzazione della rete delle unità di offerta sociali e sociosanitarie, secondo gli indirizzi definiti dalla Regione e sono qualificati come soggetti costitutivi della rete. Tali soggetti sono identificati nelle seguenti macroaree:

  1. i comuni, singoli ed associati, le province, le comunità montane e gli altri enti territoriali, le ASL, le aziende di servizi alla persona (ASP) e gli altri soggetti di diritto pubblico;
  2. le persone fisiche, le famiglie e i gruppi informali di reciproco aiuto e solidarietà;
  3. i soggetti del terzo settore, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e gli altri soggetti di diritto privato che operano in ambito sociale e sociosanitario ;
    d) gli enti riconosciuti delle confessioni religiose, con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, che operano in ambito sociale e socio-sanitario.
    L’attribuzione ai soggetti del terzo settore (cf più sopra lett. c) [forse andrebbe sottolineato che vi rientrano gli enti ecclesiastici con citazione esplicita] della facoltà, tra le altre, di concorrere alla programmazione, risulta confermativa di una volontà politica di valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale, atteso che, in altri ordinamenti regionali, tale funzione è solitamente attribuita esclusivamente agli enti pubblici. Il terzo settore viene dunque coinvolto al livello più alto nella determinazione del sistema, superando, almeno a livello terminologico, quanto stabilito dalla legge 328/2000 che conferiva allo stesso funzioni di gestione, progettazione e realizzazione concertata degli interventi. È evidente che, oltre a verificare come sarà declinata tale funzione, la stessa assume caratteri e peso differenti nell’ambito sociale rispetto a quello sociosanitario. Infatti, come si vedrà, i piani programmatori sono due: quello regionale e quello locale e differenti sono le modalità partecipative.
    L’individuazione degli ambiti di attività in cui le unità d’offerta operano al fine di garantire i diritti sociali si diversificano nel settore sociale ed in quello sociosanitario.

La rete degli interventi sociali

Il primo settore, quello degli interventi socioassistenziali, come identificati dall’articolo 4, comprende l’insieme delle attività volte a:

  1. aiutare la famiglia, anche mediante l’attivazione di legami di solidarietà tra famiglie e gruppi sociali e con azioni di sostegno economico;
  2. tutelare la maternità e la vita umana fin dal concepimento e garantire interventi di sostegno alla maternità e paternità ed al benessere del bambino, rimuovendo le cause di ordine sociale, psicologico ed economico che possono ostacolare una procreazione consapevole e determinare l’interruzione della gravidanza;
  3. promuovere azioni rivolte al sostegno delle responsabilità genitoriali, alla conciliazione tra maternità e lavoro ed azioni a favore delle donne in difficoltà;
  4. tutelare i minori, favorendone l’armoniosa crescita, la permanenza in famiglia e, ove non possibile, sostenere l’affido e l’adozione, nonché prevenire fenomeni di emarginazione e devianza;
  5. promuovere il benessere psicofisico della persona, il mantenimento o il ripristino delle relazioni familiari, l’inserimento o il reinserimento sociale e lavorativo delle persone in difficoltà e contrastare forme di discriminazione di ogni natura;
  6. promuovere l’educazione motoria anche finalizzata all’inserimento e reinserimento sociale della persona;
  7. assistere le persone in condizioni di disagio psicosociale o di bisogno economico, con particolare riferimento alle persone disabili e anziane, soprattutto sole, favorendone la permanenza nel proprio ambiente di vita;
  8. favorire l’integrazione degli stranieri, promuovendo un approccio interculturale;
  9. sostenere le iniziative di supporto, promozione della socialità e coesione sociale, nonché di prevenzione del fenomeno dell’esclusione sociale.

Questa prima identificazione delle materie concernenti il concetto di obiettivo e dei destinatari dei servizi sociali pare essere una esemplificazione da valutarsi nel contesto del più ampio oggetto di interesse dei servizi sociali, come prima messo in evidenza con il richiamo alla legge Bassanini (si vedano le note 5 e 6). Quale delle Bassanini?
Infatti è proprio del servizio sociale il concetto di identificazione in progress delle specificità dei propri destinatari. Principio che deriva dal più volte enunciato riconoscimento del principio di sussidiarietà come elemento costitutivo del sistema; così da porre l’azione programmatoria dei soggetti pubblici e privati in un ruolo paritario finalizzato tanto alla creazione della rete di risposta, quanto alla rilevazione dei fabbisogni del territorio.

La rete degli interventi sociosanitari

Oggettivamente diverso è il testo normativo, analizzato in questo lavoro, in relazione ai servizi sociosanitari laddove [occorrerebbe citare la fonte normativa], nel richiamare una disciplina normativa nazionale come riferimento giuridico per l’identificazione dei destinatari del servi-zio, emerge una rete organica in cui l’azione programmatoria soggiace ad un quadro di sistema pubblico, molto più definito ed anche costituzionalmente riferibile non più ad un concetto di competenza esclusiva regionale bensì ad una probabile necessità di ritenere ormai la materia dell’integrazione sociosanitaria nell’alveo della competenza concorrente tra Stato e regioni.
Questa differenziazione trova significativi fondamenti costituzionali ri-spetto ad un sistema di “libertà” e valorizzazione di azioni sussidiarie per la risposta al bisogno socio-assistenziale ed un sistema di validazione tecnica e di titoli pubblici che si esprime nell’ambito della materia sanitaria e sociosanitaria.

L’identificazione della rete degli interventi sociosanitari riprende qui le prestazioni tipiche delle aree dell’integrazione sociosanitaria, di cui al D.P.C.M. 14 febbraio 2001 e al D.P.C.M. 29 novembre 2001, nei se-guenti termini:

  1. sostenere la persona e la famiglia, con particolare riferimento alle problematiche relazionali e genitoriali, all’educazione e allo sviluppo di una responsabile sessualità, alla procreazione consapevole, alla prevenzione dell’interruzione della gravidanza;
  2. favorire la permanenza delle persone in stato di bisogno o di grave fragilità nel loro ambiente di vita;
  3. accogliere ed assistere persone che non possono essere assistite a domicilio;
  4. prevenire l’uso di sostanze illecite, l’abuso di sostanze lecite, nonché forme comportamentali di dipendenza e favorire il reinserimento so-ciale delle persone con problemi di dipendenza;
  5. assistere le persone in condizioni di disagio psichico, soprattutto se isolate dal contesto familiare;
  6. assistere i malati terminali, anche al fine di attenuare il livello di sofferenza psicofisica.
    La legge demanda poi alla giunta regionale l’individuazione sia delle unità di offerta sociali che di quelle sociosanitarie. In realtà, con provvedimenti di giunta , già nel quadriennio 2003-2007, la Regione ha operato una complessiva identificazione di tutte le unità d’offerta del sistema socio sanitario e di una significativa parte di quelle del sistema dei servizi sociali. Cosi che tale norma di delega alla regione per l’identificazione dell’unità d’offerta dei due sistemi pare più ratificativa di un comportamento già posto in essere di normazione per atti di giunta dell’intero sistema dei servizi alla persona che finalizzato a rideterminare un nuovo processo normativo.
    Sarebbe utile, per quanto possibile, definire i servizi socio assistenziali, quelli socio sanitari e quelli sociali

3.2 Beneficiari degli interventi e dei servizi

La distinzione dei soggetti erogatori in ambito sociale e sociosanitario si riflette ulteriormente sulla disciplina relativa ai soggetti beneficiari delle prestazioni, ovvero coloro i quali possono accedere alla rete. Se da un lato l’ambito relativo all’assistenza sociale è inevitabilmente molto ampio, stante la concezione lata di servizi sociali nel nostro ordinamento , più precisa è la caratterizzazione dei fruitori delle prestazioni sociosanitarie, che corrispondono alle previsioni di cui al D.P.C.M. 29 novembre 2001.

L’articolo 6 della legge regionale individua l’ambito soggettivo dei destinatari della rete delle unità d’offerta. La norma parte innanzi tutto con una specificazione dei soggetti che godono di un accesso prioritario alla rete sociale: persone in condizioni di povertà o con reddito insufficiente, nonché le persone totalmente o parzialmente incapaci di provvedere a se stesse o esposte a rischio di emarginazione, nonché quelle sottoposte a provvedi-menti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali.

Per quanto concerne l’accesso alla rete d’unità d’offerta sociosanitaria, vengono identificate le persone e le famiglie che si trovano in uno stato di bisogno determinato da:

  1. non autosufficienza dovuta all’età o a malattia;
  2. inabilità o disabilità;
  3. patologia psichiatrica stabilizzata;
  4. patologie terminali e croniche invalidanti;
  5. infezione da HIV e patologie correlate;
  6. dipendenza;
  7. condizioni di salute o sociali, nell’ambito della tutela della gravidanza, della maternità, dell’infanzia, della minore età;
  8. condizioni personali e familiari che necessitano di prestazioni psico-terapeutiche e psico-diagnostiche.

3.3 La partecipazione ai costi

Maggiormente dettagliata, rispetto alla legge dell’86 è la regolamentazione della partecipazione al costo delle prestazioni sociali: problematica ad oggi molto rilevante, soprattutto in relazione ad alcuni ambiti quali ad esempio quello minorile. Viene mantenuto il principio per cui gli eventuali oneri economici di ricovero spettanti all’ente locale siano attribuiti al comune di residenza della persona ricoverata e comunque considerando sempre il comune dove ha avuto inizio la prestazione, se diverso da quello del ricovero. Nel caso di minori, come già affermato dalla legge regionale 34/2004, la residenza di riferimento è quello dei genitori titolari della potestà genitoriale.

Sotto tale profilo è diverso il regime della partecipazione ai costi relativi alle prestazioni sociosanitarie laddove la necessità di distinguere la dimensione sociale da quella sanitaria ha portato ad una previa distinzione dei costi individuata dall’Allegato 1C del D.P.C.M. 29 novembre 2001.

Competenze istituzionali

La rete delineata dalla legge deve essere necessariamente letta alla luce delle competenze di cui la Repubblica, anche nelle sue articolazioni territoriali, è titolare secondo l’architettura costituzionale e con un’attenzione particolare, in tema di servizi sociali, alla legge 328/2000 mentre, in tema di servizi sociosanitari, al D.P.C.M. 14 febbraio 2001 e soprattutto a quella parte del D.P.C.M. 29 novembre 2001 che, nell’identificazione dei Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria a livello nazionale, esplicita tutta la tema-tica dell’integrazione sociosanitaria (Allegato 1C).

Innanzitutto, anche in questo caso, è d’uopo distinguere l’assetto delle competenze istituzionali in tema di servizi sociali da quelle relative ai servizi socio-sanitari. Questo senza nascondere, ma non può essere oggetto del presente articolo, che proprio la tematica dell’integrazione istituzionale al fine di definire una linea di continuità di risposta tra servizi sociali e sociosanitari risulta essere probabilmente la più significativa problematica che vedrà necessariamente impegnato prossimamente il legislatore regionale.

Per quanto concerne i servizi sociali una impostazione peculiare era stata introdotta a suo tempo dalla legge 328 del 2000, in cui sono state de-terminate le funzioni di regione ed enti locali, sull’idea di costruire l’organizzazione del sistema integrato a partire dal governo più vicino ai cittadini, in omaggio al principio di sussidiarietà verticale, anteponendo le funzioni dei comuni a quelle di province e regioni; la legge regionale ritiene in-vece di riprendere il classico sistema a cascata laddove, a partire dalle competenze programmatorie, dall’ente di maggior dimensione il tutto declina verso l’ente locale di minori dimensioni territoriali.

La regione esercita quindi le funzioni di indirizzo, programmazione, coordinamento rispetto alla rete, a cui si aggiungono compiti di controllo e verifica delle unità d’offerta sociali e sociosanitarie.
In tal senso la regione, con il piano sociosanitario, definisce i livelli delle prestazioni sociosanitarie, mediante l’individuazione di prestazioni o di servizi ulteriori rispetto a quelli essenziali definiti a livello statale.
A ciò si somma l’insieme delle funzioni regionali ascrivibili a due ma-crocategorie: quelle programmatorie e di indirizzo nonché quelle concernenti l’obbligo erogativo dei servizi.

Infine da evidenziare il compito, mantenuto a livello regionale, di provvedere all’integrazione della rete con altri sistemi (sanità, lavoro, casa, formazione professionale, istruzione, educazione, sicurezza e pianificazione territoriale).

Nel ribadire che gli enti locali comunali sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello territoriale, la normativa regionale dispone che essi svolgano attività programmatorie lo-cali, gestionali ed erogative nei termini di seguito elencati:

  1. programmano, progettano e realizzano la rete locale delle unità d’offerta sociali, nel rispetto degli indirizzi e conformemente agli obiettivi stabiliti dalla regione, anche promuovendo la partecipazione dei soggetti di cui all’articolo 3 (citati in precedenza e comprensivi di una amplissima generalità di formazioni sociali);
  2. riconoscono e promuovono la sperimentazione di unità d’offerta e di nuovi modelli gestionali nell’ambito della rete sociale, nel rispetto della programmazione regionale;
  3. erogano, nei limiti delle risorse disponibili, servizi e prestazioni di natura economica e assumono gli oneri connessi all’eventuale integrazione economica delle rette;
  4. definiscono i requisiti di accreditamento delle unità di offerta sociali in base ai criteri stabiliti dalla regione, accreditano le unità d’offerta e stipulano i relativi contratti;
  5. definiscono eventuali livelli di assistenza ulteriori rispetto a quelli definiti dalla regione;
  6. determinano i parametri per l’accesso prioritario alle prestazioni, […], sulla base degli indirizzi stabiliti nell’ambito della programmazione regionale, anche assicurando interventi di emergenza e di pronto inter-vento assistenziale, di norma mediante forme di ospitalità temporanea od erogazione di sussidi economici;
  7. gestiscono il sistema informativo della rete delle unità d’offerta sociali» (art. 13).

Nel contesto della programmazione di livello locale un articolo specifico è dedicato al piano di zona, strumento innovativo di pianificazione, concepito dalla legge 328/2000 e ormai applicato nella maggior parte dei di-stretti italiani. Sul punto sono state recentemente adottate le nuove linee di indirizzo per la programmazione dei piani di zona per il 2009-2011.

In tale contesto è da rilevare come il piano di zona sia da considerarsi quale strumento di programmazione in ambito locale della sola rete d’offerta sociale perlomeno per quanto concerne il potere decisorio delle amministrazioni pubbliche locali interessate, essendo stato mantenuto a livello della competenza regionale, con un uso organicistico e con limitate competenze proprie della ASL, il ruolo di programmazione esclusiva dell’offerta sociosanitaria territoriale (si veda la tematica del blocco degli accreditamenti delle RSA piuttosto che sostanzialmente tutta la definizione dei servizi residenziali, semiresidenziali e domiciliari per anziani e disabili).

Il piano definisce le modalità di accesso alla rete, indica gli obiettivi e le priorità di intervento, individua gli strumenti e le risorse necessarie alla loro realizzazione.

Il piano di zona avrebbe come obiettivo dichiarato l’attuazione dell’in-tegrazione tra la programmazione della rete locale di offerta sociale e la rete d’offerta sociosanitaria in ambito distrettuale, anche in rapporto al sistema della sanità, dell’istruzione e della formazione e alle politiche del lavoro e della casa. Questo però è da valutarsi con i limiti espressi in premessa per quanto concerne il ruolo programmatorio regionale delle risorse economiche del sistema sociosanitario.

I diritti dei destinatari delle prestazioni

L’articolo 7 individua in modo elencativo i diritti che la rete deve garantire ai soggetti destinatari delle prestazioni; tali diritti ricomprendono la libertà di scegliere le unità d’offerta; di essere informati sulle prestazioni di cui è possibile usufruire, di accedere alle prestazioni, nel rispetto della riservatezza e della dignità personale e della disciplina in materia di consenso informato; di rimanere, ove possibile, nel proprio ambiente familiare e socia-le; di essere presi in carico in maniera personalizzata e continuativa ed es-sere coinvolti nella formulazione dei relativi progetti; di ricevere una valutazione globale, di norma scritta, del proprio stato di bisogno.

Da rilevare la previsione del diritto a favore della persona che accede alla rete alla presa in carico personalizzata e continuativa e ad essere coin-volta nella formulazione dei relativi progetti.

Viene ripreso e disciplinato, anche se in via non dettagliata, lo stru-mento del segretariato sociale (introdotto dal Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali), attività finalizzata alla presa in carico della persona, organizzata dal comune, di intesa con l’ASL e ed in collaborazione con altri soggetti del terzo settore; orientamento ed informazione a tutti i cittadini si confermano gli obiettivi del segretariato sociale che potrebbe essere un interessante strumento per risolvere i problemi dell’integrazione istituzionale tra le competenze sociali di titolarità del comune e quelle sociosanitarie afferenti la ASL come ente strumentale della programmazione regionale.

In relazione al profilo della rete che insiste sull’ambito sociosanitario le ASL sono chiamate, per il tramite del Dipartimento delle attività sociosanitarie integrate (ASSI), quali attori principali dell’esercizio del ruolo di pro-grammazione e di realizzazione della rete delle unità d’offerta sociosanitarie a livello locale.

Rilevante risulta essere anche l’attribuzione alle stesse ASL delle funzioni di vigilanza e controllo sulle unità d’offerta pubbliche e private, sociali e sociosanitarie, soprattutto alla luce dell’adozione delle recenti disposizioni in materia di accreditamento e vigilanza sulle persone giuridiche.

Conclusioni

A conclusione della parziale disamina della nuova architettura regionale della rete di servizi socio-assistenziali e sociosanitari, in relazione al delicato tema dei diritti riconosciuti ai destinatari, non si può che ribadire quanto già accennato all’inizio del presente lavoro: il riconoscimento dei di-ritti sociali riguarda una conquista recente rispetto a quelli civili e politici, e permane nell’alveo della non assolutezza.

Questo in quanto, come sin qui visto, sia il diritto all’assistenza che quello alla tutela della salute, così come costituzionalmente previsti, trovano un’attuazione non immediata ma connessa alla legislazione ordinaria di attuazione; in secondo luogo si configurano entrambi quali diritto soggettivo alla prestazione (riconosciuta, come detto, sulla base delle decisioni attuative del legislatore), condizionato però nella sua garanzia dalle risorse disponili per la sua attuazione.
Su tale ultimo punto basti vedere i cambiamenti tra la prima riforma sanitaria (L. 833/1978) e la riforma-bis (D.Lgs. 502/1992), laddove la garanzia della fruizione della prestazione sanitaria viene connessa alle risorse disponibili.

Inoltre è interessante vedere come la materia dei servizi sociali e quella dei servizi sociosanitari si stiano via via differenziando sempre più, pur richiedendo evidentemente la creazione di percorsi di continuità assistenziale.

Da un lato infatti i servizi sociali stanno sempre più acquisendo come obiettivo di sistema il rispondere a percorsi di “qualità della vita”; non è più infatti obiettivo dei servizi sociali quello di rivolgersi esclusivamente a con-dizioni di marginalità ed esclusione con finalità di inclusione sociale ma, anzi, tali servizi hanno ormai come fine la creazione di percorsi di “coesione sociale”. Ossia essi si rivolgono ad una cittadinanza il più ampia possibile che, sotto più aspetti, nel momento in cui si sente chiamata a sostenere il costo sociale del servizio pretende sempre più di poter essere considerata, almeno potenzialmente, quale beneficiaria dello stesso.
Dall’altro lato i servizi sociosanitari seguono invece in maniera evi-dente l’evoluzione della società; tanto sotto l’aspetto delle riforme istituzionali quanto sotto quello delle riforme sociali ed economiche.

Si pensi poi all’effetto che ha provocato nei servizi sociosanitari il precorso di allunga-mento esponenziale della vita media, del progresso medico-farmacologico, della limitazione di interesse legislativo e scientifico, sempre più evidente del sistema sanitario su percorsi di “guarigione”, lasciando al sistema sociosanitario tutta la tematica della “cura” di quelle condizioni di vita (l’età avanzata con l’insorgere di patologie degenerative geriatriche, la disabilità, la dipendenza, gli stati di difficoltà psichica e/o psicologica) in cui uno stato limitativo e degenerativo della propria situazione di salute si incontra o comunque si manifesta con una situazione di evidente limite della propria capacità di relazione sociale.

Da questo punto di vista, in conclusione, l’auspicio è che l’attenzione evidentemente presente nella norma illustrata alla definizione di ruoli istituzionali differenziati, alla tematica della limitatezza delle risorse ed alla valorizzazione delle formazioni sociali del territorio, riesca a costruire anche percorsi di integrazione per queste fragilità, tipiche della condizione umana, che rischiano di non ottenere sufficiente attenzione sociale; non ultimo per una evidente tendenza in atto, nella ridistribuzione delle risorse previdenziali e fiscali, a privilegiare la condizione di soggetti con capacità produttiva di reddito che non rientrano in queste fragilità.