Fonte: articolo di Valentina Ghetti – LombardiaSociale.it
Intervista a Luca Degani – Avvocato, Docente a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, titolare del corso “Diritto minorile”; Autore di molteplici pubblicazioni in tema di legislazione sociosanitaria.
I criteri introdotti dal fattore famiglia per la valutazione dei redditi dei nuclei familiari lombardi che impatto avranno in termini di equità orizzontale? In altre parole, quali famiglie ne beneficeranno maggiormente? Su quali tipologie familiari avrà le maggiori ricadute (sia positivamente che negativamente)?
La Legge sul Fattore Famiglia, di recente approvata dal Consiglio Regionale Lombardo, introduce dei criteri per la valutazione della capacità concorsuale delle famiglie al costo delle prestazioni sociali, nel rispetto dei principi della normativa nazionale sull’Isee.
Certamente per formulare dei giudizi più concreti sugli effetti che questo strumento potrebbe avere sulle diverse tipologie di famiglie, bisognerà attendere l’adozione del provvedimento attuativo.
Quello che abbiamo ad oggi è una dichiarazione di intenti, dalla quale si evince che l’intenzione di Regione Lombardia è quella di valorizzare i nuclei familiari in cui è presente una pluralità di soggetti, nella direzione, quindi, di dare maggior peso alle famiglie numerose.
Anche il vigente Isee, pur con i suoi limiti, prevede già delle maggiorazioni che tendono a valorizzare in termini migliorativi la situazione dei nuclei familiari con un maggior numero di figli e comunque con un maggior numero di componenti, anche per questo, come si accennava, si potrà valutare l’impatto effettivo del fattore famiglia dopo l’introduzione di norme di maggiore dettaglio.
Qual è la ratio della scelta della Regione di optare per un diverso trattamento degli anziani e dei disabili prendendo in considerazione in un caso (gli anziani) il reddito del nucleo e in un caso (i disabili) il reddito del singolo, considerando anche l’orientamento delle più recenti sentenze del Tar (che invece hanno confermato che anche per gli ultra sessantacinquenni NA deve essere considerato il reddito del solo richiedente)?
Secondo quanto previsto dalla normativa approvata dalla Regione, la valutazione della situazione patrimoniale e reddituale si estende al solo assistito con riferimento al disabile, per quanto concerne le prestazioni residenziali e semiresidenziali. Le prestazioni domiciliari non vengono comprese espressamente, ma è difficile ipotizzare un comportamento in peius con riferimento ad esse.
Con riferimento agli anziani, la legge prevede che la valutazione economica si estenda anche al coniuge e ai figli. A mio avviso il tentativo di Regione Lombardia, più che di modificare l’Isee è di ipotizzare l’obbligatorietà di un concorso economico del coniuge e dei parenti in linea retta entro il primo grado.
In questo senso, l’identificazione dei soggetti tenuti al concorso alla spesa diversi dal beneficiario delle prestazioni rappresenta il punto su cui la norma avrà le maggiori difficoltà applicative, soprattutto poiché è la parte della norma su cui Regione Lombardia ha adottato un comportamento più innovativo. E’ comprensibile che Regione Lombardia tenti di forzare la mano e costituire l’idea che si debba ipotizzare il concorso alla spesa anche da parte di altri soggetti, oltre il beneficiario, e sicuramente ciò è comprensibile ma si deve sottolineare che una scelta di questo genere tende a ledere la competenza esclusiva dello Stato in tema di ordinamento civile.
Tuttavia, l’obbligazione giuridica che si viene a creare costituisce solo un obbligo morale ma non un obbligo giuridicamente rilevante, affinché lo diventi sono necessari due elementi:
- Che il soggetto stesso richieda la compartecipazione dei parenti;
- Che vi sia un provvedimento della magistratura ordinaria, in caso di inadempimento da parte dei parenti.
Quindi, da un lato Regione Lombardia prende per acquisita la tutela del disabile grave e dall’altro, attraverso la previsione del concorso alla spesa anche da parte dei familiari con riferimento agli anziani, tenta di affrontare un problema quantitativo di risorse degli Enti locali: ciò è comprensibile dal punto di vista della contrazione di risorse del Sistema pubblico ma di difficile sostenibilità a fronte delle competenze normative che certo non legittimano l’intervento di una singola Regione in tale senso.
La questione che ha suscitato più polemiche riguarda l’estensione dei criteri per la valutazione dei redditi anche alla quota sanitaria: questo timore è fondato? Il testo approvato presenta realmente ambiguità in questa direzione (o sono state superate dall’emendamento)?
E’ una questione molto complessa, la Regione sembra applicare i criteri di capacità economica identificati anche alla quota sanitaria delle prestazioni socio-sanitarie.
Facendo soggiacere le risorse di fondo sanitario, se pur per le prestazioni socio-sanitarie, alla capacità reddituale del beneficiario della prestazione ci si troverebbe in una situazione nella quale, per la prima volta in Italia, la tutela della salute viene messa in discussione a fronte del reddito; peraltro, ciò con un riferimento ai Lea che, per come è attualmente strutturata la situazione programmatoria di Regione Lombardia, non ha senso; infatti, la percentuale coperta dal fondo sanitario è riconducibile alla situazione complessiva delle unità di offerta e non del singolo assistito o della singola struttura (equilibrio di sistema).
Da un lato si più comprendere che la Pubblica Amministrazione, in un momento di ristrettezza delle risorse economiche, scelga di tutelare i soggetti economicamente più fragili, dall’altro il patto di solidarietà italiano prevede che la tutela della salute venga promossa solo in ragione dell’effettivo bisogno fisiologico dell’individuo, acuto o cronico -per la quota sanitaria-, e non invece in ragione della sua maggiore o minore capacità economica.
Con l’articolo j della legge lombarda siamo di fronte, pertanto, ad una modifica davvero sistemica e probabilmente anche lontana da quelle che sono stata fino ad oggi le politiche di centro destra.
Non è un caso che questo comma fosse stato inserito, in termini più generici, anche in un comma precedente con riferimento a tutto il fondo sanitario e che ci sia stata la richiesta espressa da parte della Direzione Generale Sanità di abrogarlo.
Non è un caso neppure che contestualmente si stia ipotizzando un sistema sempre più tendente alla voucherizzazione, ciò porterà ad un sistema pubblico che, nella definizione dell’ammontare del voucher, valuterà si la situazione di bisogno, ma anche la capacità economica del beneficiario e l’entità del beneficio economico sarà abbattuta in ragione di essa.
Questa previsione è iniqua anche in ragione del fatto che il nostro sistema fiscale prevede già alla fonte un prelievo progressivo differenziato sulla capacità economica: è come se chi produce maggior reddito lo si facesse pagare due volte.
Un assunto di questo tipo fa venire meno il patto sociale (solidarietà in entrata e certezza della tutela della salute in uscita), e se fosse davvero attuato si tratterebbe di una riforma epocale che avrebbe bisogno di un patto di solidarietà più forte e di una condivisione diversa che porti ad una riforma sistemica, che preveda ad esempio l’introduzione di forme di assicurazione almeno sulla long – term care, con costi deducibili ed il trasferimento di risorse dalle acuzie alla cronicità.
Sulla legittimità costituzionale di questa parte della norma possono essere sicuramente sollevati dei dubbi, anche in ragione del fatto che si tratta di una materia di evidente competenza concorrente.
E’ vero che in ambito sanitario esiste il ticket, ed il connesso sistema di esenzione in ragione del reddito, ma il sistema viene regolamentato con decreto ministeriale e nell’ottica di omogeneità a livello nazionale.
L’articolo j della legge in oggetto non parla di un ticket ma ipotizza una minore quantità di risorse proprio per la tutela di quella patologia che per sua natura diminuisce la sua capacità di produrre reddito, ovvero la cronicità.
In ambito sanitario una logica di questo tipo è difficilmente accettabile in Italia, dove è accettato che chi ha più reddito paghi per i servizi sociali, ma non per quanto riguarda la tutela della salute.
Il dibattito su come considerare questa categoria di redditi per il calcolo della compartecipazione è aperto da tempo (il decreto salvaitalia va nella stessa direzione della Regione Lombardia). Tuttavia alcune questioni si aprono: perché considerarli in maniera differente per le prestazioni residenziali e semiresidenziali? Dobbiamo aspettarci che non vengano considerati per il calcolo della compartecipazione per le prestazioni socio-assistenziali, ma solo per quelle socio-sanitarie? E’ equa questa scelta?
Rispetto a questo punto Regione Lombardia ha compiuto un passo anticipatorio prevedendo il computo delle prestazioni economiche previdenziali e assistenziali. Anche l’articolo 5 della manovra Monti lo nomina, ma è necessaria una precisazione: tale articolo introduce anche il concetto di reddito disponibile, e quei redditi esenti che hanno natura risarcitoria, come l’indennità di accompagnamento, di fatto non rappresentano reddito disponibile, pertanto non è detto che questa tipologia di entrata rientri nel concetto di reddito disponibile introdotto dall’ipotesi di revisione nazionale.
Entro la primavera verranno adottati i provvedimenti attuativi sull’art. 5 del decreto Salva-Italia (revisione dell’Isee nazionale), come si colloca il processo avviato dalla Regione Lombardia con questo iter a livello nazionale?
E’ necessario puntualizzare che l’Isee parla di soglie di accesso a prestazioni agevolate, è dunque il criterio che l’ente locale può applicare definendo poi autonomamente il quantum rispetto al quale si può accedere a prestazioni agevolate, la norma approvata dalla Regione si contestualizza come la modifica di una norma che invece ipotizza non solo l’eventuale integrazione dell’attuale disciplina Isee in relazione al rapporto tra singolo ed Ente Locale, ma ha l’obiettivo di quantificare il concorso economico da parte del soggetto e di eventuali soggetti terzi non destinatari della prestazione ma destinatari dell’obbligo di sostenere quota parte della spesa.
Sappiamo che il prossimo passo la sperimentazione in 15 comuni. Ancora non sappiamo quali e su quali Unità d’offerta si baserà la sperimentazione. Qualcuno sostiene che sarà solo sui nidi. Secondo lei avrebbe senso? A suo avviso cosa sarebbe importante considerare?
La Regione sta avviando due sperimentazioni: una sulle modifiche previste da questa legge, su pochi comuni e l’altra attraverso la quale sperimenterà il voucher, potenzialmente differenziato in ragione del reddito, con la nuova evoluzione della sperimentazione dell’ADI.
Nel momento in cui le Asl, in cui viene sperimentato il voucher per l’ADI, passeranno da 5 a 15, poiché la Regione ha dichiarato di volere passare alla voucherizzazione attraverso una commissione di valutazione dello stato di bisogno, si vedrà, sul 2012 o forse sul 2013, l’effetto applicativo di queste ipotesi normative, dopo di che un conto è ciò che è scritto nella norma, un conto è ciò che andrà a succedere.